Tra storia e leggenda
Nessuno sa quando e come sia stato scoperto dagli uomini il procedimento della caseificazione.
C’è una leggenda che parla di un pastore nomade, di un dromedario e del deserto africano…
La leggenda narra che nel deserto africano, molti, ma proprio molti millenni fa, un pastore nomade proveniente dalla Mesopotamia trovatosi a dover attraversare il deserto del Sahara su un dromedario si era portato con sé una bisaccia ricavata dallo stomaco di un agnello per porvi il latte appena munto e che era risultato in eccesso.
Cammin cammina, il caldo e gli enzimi della bisaccia fecero acidificare il latte e il movimento dinoccolante del dromedario aiutò a far uscire il siero dalla bisaccia malamente cucita. Così, durante il percorso ogni volta che il pastore nomade si apprestava a bere un poco del suo latte…si ritrovava a mangiare “formaggio”.
Fu lui il primo casaro al mondo!
Storia del formaggio e del formài
Storia del formaggio e del formài
NEOLITICO
6000-3400 a.C.
Prime forme di lavorazione del latte all’inizio del periodo, inizio della transumanza in forme non sistematiche. Verso la fine del periodo anche formaggi duri e semi-duri
ETÀ DEL FERRO
900-400 a.C.
Estesi disboscamenti, grande sviluppo degli alpeggi, ulteriore perfezionamento delle tecniche casearie che assumono caratteristiche molto simili a quelle artigianali attuali
ALTO MEDIOEVO
476-1000 d.C.
Ulteriore riduzione dello sfruttamento dei pascoli, transumanza a breve e raramente medio raggio nel contesto dell’economia curtense (tra fondi della medesima proprietà)
ETÀ MODERNA
1492-1789 d.C.
Riduzione dell’importanza della produzione di latte degli ovicaprini e aumento dell’allevamento bovino in connessione con la possibilità di svernamento in pianura. Aumento del commercio dei formaggi d’alpeggio e delle fiere di fine estate-inizio autunno di formaggi e bestiame
Il caseificio bergamasco tra montagna e pianura
(fino ai giorni nostri)
Mentre nella bassa pianura i bergamini esercitavano la loro attività di produzione su piccola scala di stracchini (“quadri”, “tondi”, “salva”, ecc.) secondo le modalità consuetudinarie, in montagna, nel corso dell’Ottocento, si sono andate definendo ancora meglio le produzioni che hanno impresso una duratura impronta a quella che appare ancor oggi la tradizione casearia bergamasca. Nel primo Novecento il sorgere di aziende di produzione casearia in pianura si orientò a produzioni che non entravano in concorrenza con quelle tradizionali (forti di una rete di incettatori e stagionatori), cercando semmai di imitare produzioni di altre aree e produzioni svizzere.
Bortolo Belotti, autore negli anni Trenta del secolo scorso della più importante opera sulla storia bergamasca, poteva così osservare che, nonostante lo sviluppo dei caseifici di pianura, l’immagine della tipicità casearia restava legata alla montagna.